Raccontare una città, la propria giovinezza, senza esserci più tornato da anni. E’ la magia di Pupi Avati, capace di descrivere la Bologna degli anni 50 stanno a Roma, è il potere della settima arte.
Siamo in via Saragozza, ci sono i portici, le gonne a ruota, le belle auto che a guardarle ora ricordano un mondo diverso, il Festival di Sanremo che ancora monopolizzava l’intera Penisola.
L'amarcord del Bar Margherita procede con passo episodico, con l'andamento dell'aneddoto, tenuto insieme dal dispiegarsi delle piccole grandi storie che gravitano intorno al locale e ai suoi frequentatori.
Il giovane Taddeo vorrebbe entrare a far parte del clan, perché gli avventori dello storico locale rappresentano per lui un modo di essere al centro di tutto il mondo. Ci sono: il capo Al (Diego Abatantuono), Bep (Neri Marcorè), innamorato e facilone, Gian (Fabio De Luigi), aspirante cantante di pianobar o da balera. E poi Manuelo (Luigi Lo Cascio), Zanchi il perfido cravattaio (Claudio Botosso) e lo strambo Sarti (Gianni Ippoliti) col suo immancabile smoking.
Tutti i ruoli femminili del film sono marginali, la società dell’epoca era rigorosamente maschile e le donne sono solo “penne” da collezionare, usare, sedurre, poi dimenticare. Lo stesso regista lo definisce non un bar, bensì “il santuario nel quale la società dei maschi, teneva ancora asservita la donna in qualsivoglia suo ruolo e regnava impunemente”.
Questo non esclude che l’interpretazione di Katia Ricciarelli sorprenda per la naturalità. Lo stesso Avati che l’ha scoperta ne “La seconda notte di nozze”, la ripropone in veste una madre di famiglia, forte e discreta.
Le musiche sono firmate da un altro bolognese doc: Lucio Dalla. “E’ una musica interamente inedita - spiega il cantautore - tranne la canzone dei titoli di coda 'Dark Bologna' che ho cantato e suonato cambiando leggermente il testo per adattarlo ai primi anni '50”.
A soli sette mesi da "Il papà di Giovanna", Pupi Avati torna a parlare della sua Bologna in una pellicola dalla forte impronta autobiografica, come spesso accade con il regista bolognese. Nel suo piccolo, un caleidoscopio di vite da sfiorare.
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